Autocritica: 3 miti da sfatare

Autore: Pietro Ielpo

Autocritica: 3 miti da sfatare L’autocritica, di per sé, non costituisce un problema. A fare la differenza è il modo in cui la utilizziamo. Un po’ come assumere la pillola per il mal di testa: una, aiuta a lenire il dolore; l’intera confezione, potrebbe crearci qualche problema.
 
Autocritica: sana o eccessiva?
Quello che ho notato nella mia pratica clinica, è la sorprendente difficoltà da parte dei pazienti (e talvolta del sottoscritto, come di diversi colleghi) a fare una distinzione tra autocritica sana e autocritica eccessiva. Vediamo alcune differenze.
 
Autocritica sana
- Non comporta problemi psicologici
- Non comporta una svalutazione di sè
- La “voce nella nostra testa” presenta un tono caldo e accogliente nel correggerci
- Si focalizza sulla comprensione di come abbiamo sbagliato
- La critica è specifica (“quando hai detto X nella situazione Y, hai ottenuto Z”)
 
Autocritica eccessiva
- Contribuisce a problemi psicologici quali: depressione, ansia sociale, disturbi di personalità (ad esempio disturbo evitante di personalità o disturbo dipendente di personalità)
- Comporta una svalutazione di sè (“sei stupido!”; “non ti vergogni?”; “sei sempre il solito, non vali niente!”)
- Tono duro, aggressivo e minaccioso
- Si focalizza su cosa abbiamo sbagliato
- La critica è generica, ripetitiva (può sembrarci tediosamente familiare) ed ha la natura di una predica (“quanto volte ti ho detto...”)
  
3 miti sull'autocritica
Perché è difficile abbandonare l’autocritica eccessiva? Innanzitutto può mancare la consapevolezza di essere sotto il fuoco di un’autocritica severa. Inoltre, un ruolo importante è la funzione che svolge nelle nostre vite. Ho selezionato tre di queste funzioni che ho riscontrato più frequentemente nella pratica clinica (ma possono essercene molte altre) e le ho chiamate “miti”.
 
Miti da sfatare:
 
Mito n° 1: Criticarsi duramente aiuta a migliorarsi
È il mito più frequente. Se fosse fondato, difficilmente si accompagnerebbe a problemi psicologici. Inoltre, è possibile incontrare persone che non si criticano duramente eppure riescono a migliorare i propri comportamenti. È un mito, talvolta, ereditato da figure significative del nostro passato e potrebbe non essere oggi la strategia che vogliamo usare con noi stessi. A volte criticarsi duramente può funzionare, ma se si viene in terapia nonostante le dure critiche per migliorarsi, forse sul lungo periodo molto utile non è.
 
Mito n° 2: Se mi critico per primo, le critiche degli altri mi faranno meno male
Niente di più falso. Criticarsi per primi non farà altro che renderci più vulnerabili alle critiche altrui che troveranno in noi un terreno fertile su cui attecchire. E anche se ci difendesse dall’attacco nell’immediato, il prezzo da pagare sul lungo periodo in termini di vergogna, colpa eccessiva, evitamento di esperienze arricchenti, è davvero troppo alto. Non ne vale la pena.
 
Mito n° 3: Non criticarsi (duramente) equivale a “giustificarsi”
Tra i tre è forse il più subdolo. Si attiva, in particolare, quando si esplorano le condizioni che possono aver contribuito all’errore o quando si cerca di ridistribuire, in base a queste, la responsabilità di un evento. Si manifesta con frasi del tipo: ”Si vabbè, sono solo scuse””cerco solo di ingannare me stesso”. Giustificarsi diventa sinonimo di “scagionarsi”. Ci si dimentica, però, di un altro significato del verbo “giustificare” riportato sul dizionario Treccani: “dimostrare con valide ragioni, o provare, documentare la regolarità e la giustezza, o anche l’utilità, l’inevitabilità di un’azione, di un fatto”.
  
Quali sono i vostri miti?
Per iniziare a lavorare con l’autocritica eccessiva, è fondamentale:
1. osservarsi e prenderne consapevolezza
2. scoprire la funzione che ha per noi
Per quanto paradossali possano essere gli esiti, l’intento dell’autocritica è proteggerci da una minaccia. Chiediamoci, quindi, “cosa rischierei se smettessi di criticarmi duramente?”; “cosa temo potrebbe accadere se non lo facessi?”. Magari potremmo scoprire i nostri miti che, come una corsa su un tapis roulant, ci mantengono fermi sempre nello stesso punto nonostante gli sforzi per andare avanti e la convinzione di muoverci.

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