Cicli cognitivi interpersonali: quando le relazioni non aiutano
Autore: Pietro Ielpo
Non sempre le relazioni amicali, sociali o sentimentali sono la soluzione ai nostri problemi. Al contrario, possono mantenere, amplificare e rinforzare difficoltà psicologiche. In che modo?Cicli cognitivi interpersonali: il cane che si morde la coda Con il termine cicli cognitivi interpersonali (Safran e Segal, 1990), si intendono degli schemi di comportamento che ripetiamo nelle relazioni con gli altri. Questi schemi possono crearci qualche problema quando, inconsapevolmente, li adottiamo in modo rigido e stereotipato andando a confermare alcune convinzioni su di noi, gli altri e il mondo. Vediamo un esempio.
Marco prevede di essere trattato con ostilità dagli altri. Interpreterà, quindi, selettivamente qualunque comportamento neutrale come ostile, rispondendo all'ostilità prevista e percepita con la propria ostilità suscitando, probabilmente, quella dell'altro. Quest'ultima, a sua volta, confermerà le sue aspettative (gli altri sono ostili) perpetuando il ciclo cognitivo interpersonale. La psichiatra e psicoanalista Karen Horney (1950) chiamava “circolo vizioso” questo meccanismo che, come una profezia che si autoavvera, finisce con il confermare proprio quello che temiamo di più.
Il “principio della complementarità” Un' ipotesi fondamentale alla base dei cicli cognitivi interpersonali è che gli scambi fra le persone sono governati dal principio della complementarità. Secondo questo principio, determinati comportamenti interpersonali tendono, in maniera prevedibile, a stimolare negli altri comportamenti determinati. Ad esempio, se una persona si pone in modo dominante inviterà l'altro ad assumere una posizione sottomessa. L'altro può o meno accettare la proposta relazionale rispondendo in modo complementare. Questo avviene fuori dalla consapevolezza dei soggetti coinvolti. Perchè? Gran parte della comunicazione umana ha luogo in modo non verbale o paralinguistico e sono questi i canali prevalenti con cui si effettuano proposte relazionali. Data la sottigliezza di questo tipo di comunicazione, spesso non ci rendiamo conto di stare rispondendo in modo complementare.
Un puzzle incompleto Le persone che vivono schemi interpersonali rigidi, proprio per la natura autoconfirmatoria di quest'ultimi, difficilmente hanno la possibilità di fare esperienze che li disconfermino. Ironicamente i cicli interpersonali maladattivi si mantengono con l'intento di proteggerci dalle conseguenze temute. Una persona che nasconde la tristezza per timore che mostrandola rischierebbe di allontanare gli altri, finirà per allontanarli proprio perchè nasconde la sua vulnerabilità mostrandosi, magari, fredda e distaccata. In sostanza, quello che costituisce il problema è la soluzione tentata (Watzlawick, 1974). Ma c'è di più. I cicli cognitivi interpersonali rischiano di portarci a rinnegare parti della nostra esperienza interna, rendendoci individui frammentati come puzzle a cui mancano pezzi importanti. In che modo? Pensando che un'ampia gamma di sentimenti e azioni rappresentino una minaccia potenziale nelle relazioni, potremmo evitare di sperimentarle escludendo così il messaggio e il significato che si nasconde dietro ogni emozione. Ad esempio, Francesca pensa che la rabbia minacci le relazioni. Pertanto, non si dà il permesso di sentirla. Ma così facendo, rischia di non cogliere il significato del suo arrabbiarsi: c'è qualcosa che non le sta bene nella relazione. Svaluta quindi i suoi bisogni e si adatta. Salvo poi scoppiare in un secondo momento, magari con il malcapitato di turno, senza sapere il perché di questo suo comportamento.
Conclusioni Eric Berne, padre dell'Analisi Transazionale e del concetto di Gioco, per molti versi sovrapponibile a quello di cicli cognitivi interpersonali, suggeriva di “pensare marziano” nell'osservare le relazioni. Con la sua straordinaria capacità di trasmettere concetti complessi con una terminologia semplice e comprensibile da tutti, immagina un alieno venuto sulla terra che osserva le nostre comunicazioni in modo attento, sia sul piano verbale che non verbale studiandone le conseguenze. Come il marziano di Berne, potremmo fare attenzione a cosa e come comunichiamo all'altro e cosa e come l'altro, allo stesso modo, comunica a noi. Non è facile, ma allenarci è un primo passo per uscire dai nostri cicli cognitivi interpersonali.
BIBLIOGRAFIA
Berne, E. (1964), “A che gioco giochiamo?”, Milano, Bompiani (Trad. it. 2010)
Horney K. (1950), “Neurosis and human growth”, New York, Norton.
Safran J.D., Muran, J.C.(1990),”I processi interpersonali in terapia cognitiva”, Milano, Feltrinelli (trad. It. 1992)
Watzlawick P., Weakland J., Fisch R., (1974), “Change. Sulla formazione e la soluzione dei problemi”, Roma, Astrolabio (trad.it. 1974)