“Cos’ha mio figlio”? Autismo: cos’è e quali sono i sintomi

Autore: Camilla Natalizia

“Cos’ha mio figlio”? Autismo: cos’è e quali sono i sintomi Oggi quando si parla di autismo ci si riferisce ad un tema su cui si è dibattuto molto e tuttora trovare una risposta esauriente è molto difficile. Molto spesso, non esistono riposte sufficientemente esaustive quando un genitore ti chiede “Che cos’ha mio figlio?” (Borghese, 2015). 
Con il termine autismo si fa riferimento ad una sindrome comportamentale caratterizzata da un disordine del neurosviluppo a eziologia multifattoriale, con esordio nei primi tre anni di vita accompagnato da ritardo mentale lieve, medio o grave. Le caratteristiche fondamentali del disturbo sono la presenza di uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario dell’interazione sociale e della comunicazione, dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati. Le manifestazioni del disturbo possono variare a seconda del livello di sviluppo e dell’età cronologica (APA, 2013). Nella nuova revisione del DSM-5 è stata sostituita l’espressione disturbi pervasivi dello sviluppo con il termine spettro, sottolineando l’aspetto dimensionale del disturbo, considerando la centralità del ritardo nel linguaggio e un continuum in cui ciascun bambino presenta le proprie specificità e caratteristiche.

I criteri diagnostici proposti nel DSM-5 (APA, 2013) comprendono: A) deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell’interazione che si manifestano in deficit di reciprocità socio-emozionale, deficit nella comunicazione non-verbale e deficit nello sviluppare e mantenere relazioni sociali; B) un pattern di comportamenti ristretti e ripetitivi che si manifesta in un eloquio o movimenti stereotipati (per es. ecolalia o stereotipie motorie), un’eccessiva aderenza a routine, pattern ritualizzati di comportamenti verbali e non verbali o eccessiva resistenza al cambiamento, domande ripetitive, interessi altamente ristretti e fissi, atipici per intensità, iper o iposensibilità a imput sensoriali; C) i sintomi devono essere presenti dalla prima infanzia ma devono limitare o compromettere il funzionamento quotidiano; D) tali manifestazioni conducono ad una compromissione clinicamente significativa dell’esecuzione in contesti sociali, lavorativi o in altre aree rilevanti. L’autismo si configura come un disturbo complesso che danneggia aspetti del funzionamento infantile e come una disabilità che permane nell’individuo per tutto il corso della vita, anche se la gravità di tali deficit può variare nel tempo (Lo Presti & Vio, 2014). 

Qual è la causa dell’autismo?
Un tema su cui ancora oggi si dibatte è quello relativo alle cause e all’eziopatogenesi dell’autismo. Ad oggi, le cause dell’autismo non si conoscono con certezza, ma è stato dimostrato che alla base del disturbo vi siano una molteplicità̀ di fattori (Grandin, 2014). Ad ogni modo, l’autismo appare come un insieme eterogeneo di disturbi riconducibili nella maggior parte dei casi al risultato di complesse interazioni tra fattori di rischio genetici e ambientali. Nel 10% dei casi l’autismo può comportare la sindrome del cromosoma X fragile, la sclerosi tuberosa e la sindrome di Rett. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a differenti interpretazioni sull’eziologia dell’autismo: alcuni come Bettelheim, Klein, Mahler e Winnicott attribuiscono una genesi psicogenetica ad un precoce e alterato rapporto ambiente-bambino, altri invece, conferiscono importanza ad alterazioni genetiche o lesioni neurologiche. Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento di incidenza dei disturbi dello spettro autistico dovuto probabilmente ad una maggiore disponibilità diagnostica ma anche ad un reale aumento di tali sindromi nella società. Uno studio del 2014 condotto dal Centers for Desease Control and Prevention, afferma che 1 bambino su 68 presenta un disturbo dello spettro autistico. Inoltre, la probabilità di incidenza risulta essere maggiore nei maschi che nelle femmine, in un rapporto di 4:1 (Tambelli, 2017). Infine, lo studio dell’epidemiologia è fondamentale per comprendere i disturbi dello spettro autistico poiché consente di stimare la sua incidenza e prevalenza nonché le sue variazioni e distribuzioni nel tempo e nello spazio.

L’importanza di una diagnosi precoce
Secondo il DSM-5, i disturbi dello spettro autistico vengono diagnosticati prima dei 4 anni di vita, ma alcuni sintomi cominciano già a manifestarsi intorno ai 12 mesi per poi continuare ad evolvere nel corso del tempo (Zwaigenbaum et al., 2015). L'American Academy of Pediatrics sostiene l’importanza di sottoporre i bambini ad uno screening per ASD nei bambini sani di 18 mesi e 24 mesi. Essere in grado di diagnosticare precocemente l’autismo vuol dire delineare in tempo il trattamento più adatto, prevenire l’insorgenza di disturbi secondari e inoltre, l’efficacia degli interventi terapeutici è maggiore tanto più precocemente questi vengono iniziati durante lo sviluppo del bambino (Muratori et al., 2006). I primi sintomi che si possono riscontrare già nel primo anno di vita riguardano ritardi nell’attenzione condivisa, il gioco di finzione, l’assunzione di un’altra prospettiva, il comportamento reciproco, verbale e non verbale, la capacità di imitazione e ritardo motorio (Zwaigenbaum et al., 2009). Le moderne tecniche di osservazione del sistema nervoso, come le tecniche di neuroimaging e quelle elettrofisiologiche, pur nella loro importanza non possono sostituire il contributo essenziale dell’anamnesi e soprattutto della valutazione clinica per la diagnosi e la prognosi (Haataja et al., 2011). In particolare, attraverso l’utilizzo dello strumento array chromosomal genemic hybridization è stato evidenziato come nel 25% dei soggetti con disturbo autistico è possibile identificare una anomalia genetica di significato clinico (Rutter, 2011). Il traguardo principale è quello di riuscire ad effettuare diagnosi di disturbo dello spettro autistico prima dei 36 mesi di vita in modo da poter intervenire in una fase dello sviluppo in cui il disturbo non si è ancora stabilizzato andando a modificare e migliorare la qualità della reciprocità sociale di questi bambini. 
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Fonti:
- American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-V ed., APA. Washington, D.C. Borghese, M. (2015). Un bambino su cento ha l’autismo. Fano: Aldenia Edizioni.
- Grandin, T. (2014). Visti da vicino. Il mio pensiero su autismo e sindrome di Asperger. Trento: Erikson.
Haataja, L., Belmonti, V., & Cioni, G. (2011). Neurological and neurodevelopmental assessment. In WHO Handbook of neurology in the first year of life, (in press). 
- Lo Presti, G., & Vio, C. (2014). Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici. Trento: Erickson. 
- Muratori, F., Narzisi, A., Igliozzi, R., Parrini, B., & Tancredi, R. (2006). Screening e diagnosi precoce dei DSA. Revisione della letteratura. Autismo e Disturbi dello Sviluppo, 4, 325-349.
- Rutter, M. (2011). Child psychiatric diagnosis and classification: concepts, findings, challenges, and potential. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 52, 647–660. 
Tambelli, R. (2017). Manuale di psicopatologia dell’infanzia. Bologna: Il Mulino.
- Zwaigenbaum, L., Bryson, S., Lord, C., Rogers, S., Carter, A., Carver, L., Chawarska, K., Constantino, J., Dawson, G., Dobkins, K., Fein, D., Iverson, J., Klin, A., Landa, R., Messinger, D., Ozonoff, S., Sigman, M., Stone, W., Tager-Flusberg, H., & Yirmiya, N. (2009). Clinical assessment and management of toddlers with suspected autism spectrum disorder: insights from studies of high-risk infants. Pediatrics, 123(5), 1383-1391. 
- Zwaigenbaum, L., Bauman, M.L., Stone, W.L., Yirmiya, N., Estes, A., Hansen, R.L., Mcpartland, J.C., Natowicz, M.R., Choueiri, R., Fein, D., Kasari, C., Pierce, K., Buie, T., Carter, A., Davis, P.A., Granpeesheh, D., Mailloux, Z., Newschaffer, C., Robins, D., Roley, S.S., Wagner, S., & Wetherby, A. (2015). Early Identification of Autism Spectrum Disorder: Recommendations for Practice and Research. Pediatrics, 136, 10-40. 

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