La personalità delle figure piane

Autore: Ruggero Sicurelli

La personalità delle figure piane Giocando a rimpiattino con le figure geometriche è facile pensare che le stesse siano estranee al pathos e alla poesia, che tutto in loro sia sterilizzato e freddo. Invece possono garantire a quanti le guardano dei riverberi emozionali diversamente pregnanti, vividi e profondi. Un cerchio e un triangolo sono in grado restituirci l’impressione di trovarci di fronte a due profili di personalità diversi, i quali, in quanto tali, vanno investigati e scoperti. Siamo in presenza di una traslazione da un piano all’altro: da quello geometrico a quello fenomenologico. Y ed x? Nelle nostre pagine, dopo questo viraggio, non sono che le ascisse e le ordinate di una geometria emozionale intrigante e aperta alle più variegate considerazioni personologiche.

In relazione alla “personalită delle figure piane” cercheremo qui di rispondere ad alcune domande relative alle striature simboliche evocate da alcune figure piane piuttosto che da altre. Il primo quesito: qual è la ricompensa da ‘restituzione simbolica’ sulla quale, inconsciamente, un artigiano o un artista può contare quando crea degli artefatti aventi la forma di una qualsivoglia figura piana? Il secondo quesito: che ne è, nell’attuale societă del consumo evanescente, della “foresta dei simboli” cara a Mircea Eliade? Molti sembra che gli alberi di questa foresta stiano scomparendo, per lasciare il posto alle grandi autostrade del calcolo, della ragione e del pragmatismo più sterile.

Se così vanno le cose, com’è possibile procedere con un saggio e sano rimboscamento? quanto sembra, esiste la possibilità di puntare sulla scuola, soprattutto quella elementare, poiché questo è il luogo che più d’ogni altro coincide con un terreno fertile in relazione alla variabile in discussione. Ed è a scuola che, grazie alla complicità del gioco, le verdi pianticelle dei simboli possono sperare di crescere con successo e di radicarsi stabilmente nel nostro universo esistenziale. E qui l’accento si sposta sulla formazione degli insegnanti.

Simili riflessioni valgono anche in riferimento all’urbanista ed al pubblicitario. In relazione a quest’ultimo, per esempio, va precisato che il motivo del successo di un determinato prodotto su quelli concorrenti può spesso dipendere da riscontri che possono verificarsi al di fuori del campo di coscienza dell’acquirente. Un esempio: una ditta di prodotti per l’igiene del bagno, ha avuto un notevole successo nel vendere un liquido azzurro per il water. L’industriale ha sfruttato bene il valore simbolico dell’azzurro e la sua correlazione con l’acqua pulita del mare. Una ditta concorrente, invece, è fallita perché aveva puntato sul rosso. Il rosso piace a  molti, ma, nell’occasione, il contesto d’uso era sbagliato. Il motivo: dopo ogni sciacquo, le persone andavano in ansia pensando alla possibilità di avere qualche fastidiosa malattia.
 
 
1. Segmenti a confronto
Iniziamo la nostra ‘geometrica’ avventura con il chiederci se un segmento possa tradire o meno delle peculiarită ‘intime’ diverse, in relazione al suo posizionamento nello spazio. In altri termini, per esempio, un segmento verticale e uno orizzontale suscitano in noi delle risonanze emozionali eguali?    quanto pare ciž è tutt’altro che scontato. Nelle pagine che seguono cercheremo di dimostrare questo assunto.
 
Partiamo da un riferimento architettonico. In relazione alla verticalità, va detto che le cattedrali gotiche trovano origine da due urgenze simbolicamente sature: l’altezza e la luce. La verticalită accentuata serviva a suscitare nell’osservatore la realizzazione di un desiderio prossimită, di avvicinamento a Dio. Essa esprimeva la sua tensione verso il cielo, nella direzione della dimora divina. Allo scopo di dare alle loro costruzioni un maggior respiro ascensionale, gli architetti dell’epoca facevano svettare guglie, cuspidi e pinnacoli. Per quanto riguarda la luce, essa appagava il ‘qui e ora’ dell’urgenza percettiva e alludeva alla luminosită del Paradiso. Simili riverberi sono oggi stemperati nella razionalità, perdendo così parte della loro cifra poetica.

A quanto pare, in relazione alla scienza delle costruzioni, noi occidentali abbiamo bisogno di stimoli percettivi rinvianti a delle verticalită ‘ben formate’. Il riferimento è a configurazioni ortogonali rispetto alla linea di terra. L’ortogonalită garantisce in noi una restituzione psicologica in termini di stabilită, di solidită e di ‘eternită’. Da qui la sua funzione rassicurante.  ll’opposto, quindi, di ciò che può suscitare in noi la percezione di strutture architettoniche evocanti l’instabilită. E’ il caso della torre di Pisa. Questa sembra sfidare con arroganza la regola dell’ortogonalità. Nel guardarla, la tensione percettiva sollecita in noi delle fantasie centrate su un presente precario e su un dopo catastrofico.

In relazione all’ambito artistico, R. Barilli ha avuto modi di ricordare che l’angolo retto è l'elemento strutturale di base di numerosi stili artistici. A suo avviso, la sua assenza è data per scontata nelle tele degli artisti informali, i quali danno voce ad un agire espressivo che affonda le sue radici nelle vicende più arcaiche dell'umana esistenza. Il riferimento è ad un operare "secondo natura" che per l’autore risulta solo tardivamente contrapposto ad un operare tecnologicamente caratterizzato.

Per dirla con l'autore, “l'angolo retto ed i suoi derivati non sono cosŞ primari come si potrebbe pensare, ma corrispondono ad una precisa assunzione tecnologico-culturale da parte dell'umanità; in natura esso non ricorre tanto facilmente se non nel regno inorganico dei cristalli, dove del resto è difficile coglierlo ad occhio nudo; per il resto la natura è per definizione zoo o fitomorfa, cioè ostenta quelle curve flessuose” cosŞ puntualmente presenti nelle tele informali.

Il viraggio all'ortogonalità è, tenuta presente la lunga storia umana, per Barilli piuttosto recente. Il suo pensiero va ai primi villaggi del neolitico che ci propongono delle abitazioni che si fondono sul modulo dell'angolo retto. Da questo momento, l'uomo inizia ad imporre un ordine proprio che si fa via via più competitivo in ragione a quello naturale.

In forza a simili motivi, in relazione alla psicodiagnostica dei prodotti grafici infantili, possiamo aggiungere che è piƶ informativo il test dello ‘scarabocchio’ rispetto ad altri piƶ strutturati quali per esempio quello della ‘casa’. Il primo lascia che il bambino si esprima all'insegna della naturalezza piƶ spinta, mentre il secondo ci restituisce il modo in cui il bambino si interroga e decodifica la realtà che lo circonda, a partire da quella familiare.

Da un punto di vista psicologico, va inoltre precisato che il quadrato nasce sotto il segno dell’ortogonalită più rassicurante. Esso si presta a sollecitare in noi delle idee quali quella della rettitudine (si pensi ai suoi angoli retti). Per inciso, retto è un uomo integro, affidabile e moralmente solido.  D’altro  canto,  retto  è  un  angolo  evocante  l’idea  di  compiutezza,  di ‘ben  formato geometricamente’. C’è di più, un angolo retto appare a molti noi piƶ ‘pulito’ di un angolo ottuso e piƶ ‘elegante’ di un angolo acuto.

Ciò premesso, possiamo formulare il seguente asserto che risulta centrale nell’impianto teorico della nostra tesi. Due lati di un quadrato sono geometricamente eguali, ma, se ignoriamo che di un quadrato si tratta, noi tendiamo a percepirli come diversi.

Da qui la seguente interessante conseguenza: essi sono, da un punto di vista geometrico, per definizione identici, mentre risultano differenti in relazione al piano esperienziale. Non solo, da questo punto di vista, l’apprezzamento della loro lunghezza è dissimile in culture diverse, arrivando a suggerire agli osservatori una vera e propria inversione valutativa.

In merito, è stato dimostrato che la percezione delle lunghezze di un segmento è influenzata anche da fattori ecologici e culturali. M. H. Segall, D. T. Campbell ed M. J. Herskovits, che sono stati gli esponenti di spicco del ‘relativismo culturale’ americano degli anni cinquanta, ci hanno fornito a riguardo delle testimonianze decisive. Gli autori, a partire da delle sperimentazioni a respiro transculturale, hanno dimostrato che le reazioni di soggetti americani e zulù ad uno stimolo grafico, rappresentante due eguali segmenti ortogonali (lati di un quadrato), si dimostravano assai diverse riguardo alla differente estrazione culturale dei giudicanti.

Il disegno sperimentale degli autori prevedeva il ricorso a dei soggetti che dovevano valutare quale, fra due segmenti ortogonali di eguale lunghezza, fosse a loro avviso, il più lungo. I risultati ci mettono di fronte alla seguente situazione paradossale: gli zulù fornirono delle valutazioni esattamente opposte a quelle del campione americano, affermando che vedevano il segmento orizzontale più lungo dell’altro. Per l’occidentale era vero il contrario.

Come si può spiegare una simile ‘inversione percettiva’? L’operazione non è facile. L’ipotesi vincente,  suggerita  dai  nostri  ricercatori,  è  la  seguente:  l’occidentale  vive  in  un  mondo ortogonalizzato che lo spinge a guardare le cose dal basso verso l’alto e che lo sollecita a perfezionare una valutazione generosa sul versante delle altezze. L’universo zulu, invece, è privo di angoli retti: le capanne sono semisferiche, l’acacia africana, l’albero a loro più familiare, ha un fusto ricurvo ed una chioma circolare. Inoltre, i nativi hanno di fronte a loro degli spazi aperti punteggiati da paesaggi morbidi e curvilinei.

L’ortogonalità? Da un punto di vista percettivo non esiste. Da qui lo scivolare del loro sguardo verso l’orizzonte e la conseguente sottostima delle altezze a favore delle lunghezze.

Una domanda che a questo punto possiamo porci è se gli stessi errori di valutazione riguardino o meno delle figure piane quali il quadrato. In forza all’esuberante percezione della verticalità di cui sopra, da noi si dovrebbe percepire in un quadrato, che sia geometricamente tale, un rettangolo avente una base leggermente inferiore all’altezza. Sembra che le cose vadano proprio cosŞ, anche se occorre precisare che una simile illusione tende a risultare assai più contenuta di quella dei suoi lati ortogonali presi separatamente in considerazione.

P. Mondrian doveva essere intuitivamente a conoscenza dei riscontri di cui sopra, tant’è che, a volte, per far quadrare i conti percettivi correggeva i suoi quadrati riducendone in modo lieve l’altezza. Così agendo, si comportava un po’ come un illusionista: faceva apparire ciò che non era!
Infatti, un quadrato si dimostrava tale percettivamente grazie alla piccola defraudazione messa a punto nei confronti della verită geometrica. Nulla di grave, l’importante era soddisfare le urgenze estetiche del suo pubblico.

Mondrian poteva servirsi di questo artificio perché nessuno mai si sarebbe sognato di andare a vedere una sua mostra con il metro in tasca. A questo punto rimane aperto il seguente problema di fondo: non è che egli fosse particolarmente sensibile all’illusione verticale-orizzontale così come questa si evidenziava nel momento in cui produceva i suoi quadrati? Tutto ciò è verosimile. Disegnati due lati di un quadrato, è probabile che egli subisse la tensione illusionistica in questa sede esaminata e si adoperasse per correggerla. Lo faceva dipingendo i ‘rettangoli’ in discussione.

Possiamo fare un successivo passo in avanti. Se è vero che un quadrato, per essere adeguatamente percepito come tale, deve essere un po’ stiracchiato da un suo lato è altrettanto vero che, almeno nella nostra cultura, siamo spinti ad intervenire sul lato superiore (accorciandolo) o su quello destro (allungandolo), piuttosto che sugli altri due lati. A questo punto, potremmo chiederci se in luoghi in cui si scrive da sinistra a destra o dall’alto in basso le correzioni in discussione potrebbero seguire o meno la nostra stessa via.

In ogni caso, nella nostra cultura l’infrazione più difficile sembra quella che porta ad intervenire sulla base del quadrato. Questo, perché la stessa appare ben piantata in quella che nel disegno delle costruzioni si chiama “linea di terra”. Ciò è vero almeno a partire dal Rinascimento, periodo questo che ha visto diffondersi il ricorso alla prospettiva come soluzione per restituire allo sguardo una raffigurazione più verosimile. È nota in merito, come ricorda M. Kubovy, la convinzione di Leonardo per la quale “le rappresentazioni prospettiche non appaiono deformate, e conservino anzi inaspettatamente la loro coerenza spaziale”.
 
 
2. Ancora sulla correzione delle anomalie percettive
Viviamo in un universo nel quale le illusioni ottiche, gli abbagli ed altre deformazioni percettive sono all’ordine del giorno. Le prime vittime di queste distorsioni sono i bambini. Essi sono particolarmente esposti alla tirannia dell’illusione ottica. J. Piaget faceva vedere a degli scolari un cartoncino quadrato che veniva fatto ruotare su un piano in modo da risultare appoggiato prima su un suo lato e poi su un suo vertice. Ecco la domanda da lui posta ai suoi piccoli intervistati: “E’ ancora lo stesso quadrato?”. Come avviene in molti resoconti sperimentali dell’autore, le cose cambiano radicalmente in ragione del livello evolutivo degli esaminati. Nel nostro caso, i bambini prima dei sette anni affermavano che non era lo stesso quadrato, mentre quelli più grandi coglievano la persistenza geometrica del cartoncino. rnheim, commentando l’esperimento in discussione ci fa notare come sia probabile che il bambino piccolo di Piaget parlasse d’altro rispetto a ciž a che pensava l’esaminatore. Egli guardava all’identità dell’apparenza, piuttosto che a quella della forma in sé. L’autore conclude ricordando quanto segue: “se la forma visiva sia o no piƶ importante della forma percettiva dipende da chi sta parlando”. Nel nostro caso un bambino prima dei sette anni ci dice “io vedo questo”, mentre tace sulla ‘verită’ che egli s’accorga o meno del fatto che il quadrato visto girare sia sempre lo stesso.

Pure l’adulto cade nelle trappole percettive che insidiano i bambini.   rnheim, ha fatto presente che l’esito percettivo di un artefatto grafico dipende da numerosi fattori, incluso quello della rotazione della figura sullo spazio che la include. Così, un quadrato visualizzato in modo da avere due lati paralleli alla linea d’orizzonte viene percepito come un quadrato. Qualora lo si ruoti, supponiamo di 45°, esso tenderà ad essere percepito come un rombo. Nella trappola percettiva tende a caderci anche l’adulto piƶ istruito, a meno che egli non veda ruotare la figura in discussione.

Ciò premesso, l’autore ha insistito nel suggerire ai pittori quanto segue: “per mostrare il viso di una donna sdraiata su un fianco si deve dipingere la simmetria in modo insolito, trasversalmente all’altra”. suo avviso, il pittore si sente portato a ruotare la tela di novanta gradi in modo da disegnare il viso nel suo orientamento normale. Ciò non rende giustizia alle esigenze percettive, poiché delle “piccole deviazioni della simmetria sono necessarie per mostrare la concessione del viso alla gravità e per evitare che fluttui nello spazio vuoto. Nel momento in cui il problema è risolto
con successo, il viso appare simmetrico, anche se, ruotando il quadro su un lato, il viso appare sbilanciato”.

Ad interrogarsi sul motivo per il quale spesso non vediamo ciò che si offre a noi come verità incontestabile, hanno insistito numerosi artisti. Fra questi desideriamo ricordare uno scultore dell’Ottocento, von Hildebrand, che a lungo ha soggiornato in Italia. Egli ha avuto modo di affermare: “Nelle strette vie di Genova, dove non è possibile vedere i palazzi che da sotto in su, gli architetti non hanno dato al cornicione di coronamento la consueta altezza perché, visto da sotto, sarebbe apparso prospettivamente raccorciato”. Essi “lo hanno inclinato sul davanti, rendendolo in tal modo relativamente piƶ basso, conseguendo tuttavia, da lontano, l’effetto di un cornicione verticale”. L’autore, che guardava all’arte come all’espressione di una pura conoscenza visiva delle cose, per spiegare simili situazioni si è riferito alla differenza che intercorre fra ‘forma attiva’ e ‘forma esistenziale’.  La  prima,  che  è  in  rapporto  con  l’immagine  ottica  dell’oggetto,  si  riferisce all’impressione che ricaviamo quando guardiamo il cornicione da sotto in su. La seconda “è quella che spetta effettivamente al cornicione ed è del tutto diversa da quanto ci aspetteremmo”. Essa prescinde dal modo in cui perveniamo alla rappresentazione: “inconsciamente tutti si procurano la forma esistenziale di un oggetto, in conformità del grado della curiosità plastica e della capacità rappresentativa posseduta”.

Terminiamo questa parentesi riportando un esempio artistico dell’autore, chiamante in causa l’intervento di Michelangelo nella Cappella medicea. Ecco che ci dice in merito Hildebrand: Il grande maestro toscano “ha allargato in basso le finestre che sono situate nei semiarchi sotto la cupola, conferendo loro un movimento analogo ai quadri della cupola che si allargano man mano verso il basso”. Questo accorgimento ha “raggiunto lo scopo di accrescere la sfericită della cupola fino al cornicione al di sotto delle finestre”. Da notare: “L’obliquită delle finestre dă alla cupola un effetto di grandezza che in realtă essa non possiede”.
 
 
3. L’anima in una forma: la necessità interiore
Per uno studioso di geometria, un triangolo è semplicemente un triangolo. Per un pittore o per uno psicologo dell’arte, una simile posizione fissista e liquidatoria non ha ragion d’essere. Al contrario, possiamo agevolmente affermare che un triangolo può sollecitare nelle diverse persone dei riscontri intimi differenti, i quali sono destinati a cambiare in ragione di numerosi fattori.
Per meglio esplicitare il significato di quest’affermazione e per sfruttare nel miglior dei modi il senso di alcune sue suggestioni implicite, l’artista che ci offre la miglior sponda teorica è W. Kandinsky. Il testo di riferimento è il suo celebre quanto discusso “Lo spirituale nell’arte”. Si tratta di un volume nel quale si rispecchia il clima filosofico della fine dell’Ottocento. Nella sua testa, prevaleva l’idea di un’arte posta al servizio del divino e di un suo sviluppo polarizzato verso una spiritualită sempre piƶ marcata e profonda. Siamo cioè in presenza di una sorta di ‘evoluzionismo spirituale’.

Nella prospettiva dell’autore, piƶ che la forma in sé è centrale il sentimento dalla stessa evocato.  A suo modo di vedere, è la ‘necessità interiore’ che prende corpo nelle tele di un pittore genuinamente orientato alla spiritualità e alla perfezione. E qui si apre il problema estetico. Per Kandinsky, l’artista è il sacerdote della bellezza e “l’unica misura della bellezza è la grandezza e la necessità interiore. È bello ciž che è interiormente bello”. Nel suo contributo, primeggia un genuino sforzo teso a perfezionare una sorta di grammatica del vedere implicante una rivisitazione creativa dell’usuale modo di guardare alla forma. Da qui un guardare artistico plurale: forme, colore, strumenti musicali, stati d’animo convergono nel dare ragione a qualsivoglia restituzione artistica. Nelle sue proposizioni poetiche emerge che ogni cosa, figure geometriche incluse, ha unproprio “profumo spirituale”. Questo concetto ai piƶ pare quanto mai aleatorio e da ‘prendere con le pinze’. Comunque, per fare un esempio, al suo ‘olfatto’ un triangolo ha un profumo diverso da quello di un cerchio, ha una spiritualità differente. A proposito del triangolo, Kandinsky fa presente, e in questo caso è difficilmente smentibile, che è importante anche il suo orientamento spaziale: in pittura questo è decisivo.
Nel momento in cui un triangolo sia rappresentato con la base non orizzontale esprime una tensione che fa presagire un subitaneo assestamento, ovvero un movimento avente come direzione quella suggerita dall’angolo acuto formato dall’ideale linea di orizzonte e la base della figura in discussione. Per l’autore, il sapore di un triangolo muta anche in relazione alla tensione al cambiamento che lo stesso esprime e quindi anche in riferimento all’ampiezza dell’angolo in discussione. Comunque, vi sono triangoli e triangoli. Per Kandinsky, quello acuto è saturo di spiritualità.

Non è tutto. Per l’autore, il triangolo si presta a descrivere anche delle differenze esistenti in vari spicchi del reale. Per questo egli lo utilizza per metaforizzare diverse situazioni graduali, per esempio quella della sensibilità interiore. Nell’occasione, lo fa tradendo i tratti di un’utopia spiritualistica in relazione alla quale il destino dell’umanită sarebbe quello di raggiungere il vertice del triangolo. Questo si dimostrerebbe saturo di spiritualità pura.

In merito, a suo modo di vedere, ognuno di noi si trova ad un livello diverso in relazione a questo percorso, seppur affatto calcificato. Alla base del triangolo troviamo i meno virtuosi, che sono quelli numericamente più rilevanti. Più cresce la sensibilità personale, più si assiste ad un movimento elettivo verso il vertice. Ciò vale non solo per gli individui, ma anche per le collettività. Nella contingenza, la variabile cruciale è quella che chiama in causa la storia: vi sono dei periodi in cui la sensibilità è più diffusa fra la gente di quanto non accada in altri momenti. Nella sua prospettiva, la prima situazione è più apicale della seconda. Per inciso, la stessa figura geometrica, ed in alternativa quella della piramide, è stata usata dal nostro pittore per dar ragione di molte altre forme di distribuzione: a partire da quella concernente la diffusione dei talenti artistici.

Kandinsky, sempre in termini di movimento alluso da una figura geometrica, precisa che “un triangolo orientato verso l’alto ha un suono piƶ calmo, immobile e statico dello stesso triangolo posato diagonalmente sul piano. Ciò va inquadrato in un pensiero per il quale ciò che crea il suono nell’armonia della forma dipende dalla capacită di un determinato elemento di entrare in contatto con l’anima. Comunque, rispetto a simili considerazioni “è il sentimento a decidere e a guidarci”. Premesso che “non c’è forma e in generale non c’è niente al mondo che non significhi nulla”, l’autore precisa che la forma, nella sua esteriorită, è “il confine fra una superficie ed un’altra”.
Inoltre, egli insiste nel precisare quanto segue: “poiché tutto ciò che è esteriore racchiude necessariamente in sé un’interiorită, ogni forma ha un contenuto interiore”. Ne consegue che l’armonia delle forme è fondata sull’efficace contatto con l’anima. Da qui il principio della “necessită interiore”.
Il nostro pittore è un ‘triangolista’, un idolatra del triangolo. Egli insiste sul triangolo perché, soprattutto quello equilatero, è risultato presente come base della composizione in varie epoche artistiche. Nell’arte moderna, per segnalare qui un suo esempio, dopo un silenzio durato più di un secolo questa costruzione geometrica è stata recuperata da Cézanne. Emblematica è la sua tela riguardante le ‘bagnanti’. Rivoluzionaria si è dimostrata inoltre la sua scelta di rappresentare il reale, in particolare la natura, attraverso dei solidi geometrici. In ogni caso, a suo modo di vedere, le evocazioni triangolari sono nelle tele degli artisti quanto mai presenti. Il motivo: la loro forza spirituale.
 
Per Kandinsky l’anima risponde non solo alle forme degli oggetti da noi percepiti, ma anche al loro colore. Ciò premesso egli precisa che non c’è forma che possa essere pensata in un vuoto cromatico assoluto. Di conseguenza, il colore contribuisce a caratterizzare il ‘profumo’ della forma, quale sia la sua fisionomia. Il tutto in un gioco di esaltazione e mortificazione reciproca. Così, “i colori squillanti si intensificano se sono posti entro forme acute (per esempio il giallo in un triangolo)”, mentre i colori che amano la profondită sono rafforzati da forme tonde (l’azzurro, per esempio da un cerchio).
Kandinsky, per quanto spesso assai criticabile, ha il merito di spingerci a riflettere sul senso ultimo di una specifica forma geometrica. Egli ci sollecita a spostare l’attenzione dallo sguardo al cuore. Dopo il suo contributo siamo costretti a chiederci che cosa susciti in noi una determinata forma, anziché limitarci a riflettere sul perché la vediamo come la vediamo. Tutto ciò, ci ha incoraggiato a impostare la ricerca seguente. I margini di queste considerazioni, va detto che l’artista russo oltre a guardare alla relazione tra forma e colore era molto attento a quella rinviante al registro musicale. L’associazione privilegiata è quella fra colore e suono. Sull’argomento si sono espressi in molti. In merito al rapporto in discussione conviene qui richiamarci al solo R. Barthes, il quale, in un suo saggio su arcimboldo, ci ricorda come il pittore lombardo sia, tra l’altro, giunto a “proporre un metodo colorimetrico di trascrizione musicale che permetteva di rappresentare una melodia con piccole macchie di colore su un foglio”.

Siamo nel Cinquecento. Simili accostamenti erano salutati con entusiasmo dal pubblico colto di allora. Arcimboldo in merito disse la sua, ispirandosi nell’occasione alla teoria pitagorica dell’armonia esistente tra i numeri ed i suoni. Il nostro pittore andž oltre mettendo in relazione fra loro toni musicali e gradazioni cromatiche. Così facendo egli chiudeva il ‘cerchio’ in riferimento agli elementi di base che danno corpo alla grammatica inconscia dei sentimenti. Il pensiero va alla forma, al suono e al colore.
 
 
4. Figure geometriche e striature personologiche
Un cerchio e un quadrato, possono essere percepiti come delle figure piane aventi dei correlati simbolici diversi. Come rileva M. Pastereau, un po’ ovunque, soprattutto in epoche passate, “il quadrato è uno dei simboli ordinati dello spazio, mentre il cerchio è quello del tempo”. Il tempo, sin dagli antichi egizi, trova espressione esemplare nel serpente che si mangia la coda. La sua raffigurazione è circolare. Il quadrato, più di ogni altra figura geometrica, ad esclusione del cerchio, evoca l’idea della perfezione. La cifra di questa ‘verită’ va rintracciata nel numero quattro, che è quello dei suoi lati. Pure nel caso del numero, come in quello delle figure in discussione, non tutto è calcificabile in una realtà ponderabile. Il quattro, al pari di altri numeri, non risponde solo ad una valutazione quantitativa, ma anche qualitativa. La sua tensione verso la perfezione è maggiore di quella, per esempio, del cinque.

Tre, quattro e sette sono da tempo immemorabile considerati numeri perfetti. I loro riverberi simbolici sono innumerevoli. Si pensi, per esempio, al tre in riferimento alla Santa Trinità. Il quattro può far venire in mente i punti cardinali. Il sette, si presta ad evocare le virtù ed i peccati capitali. Le Sacre Scritture e gli scritti mitologici sono delle miniere di informazioni sulla pregnanza evocativa dei numeri in discussione. Inoltre, gli stessi sono ai vertici delle risposte che di solito le persone danno rispetto alla richiesta di menzionare il loro numero preferito.
 
In periodi quali il Medioevo, il credito dato al valore qualitativo del numero era assai più rilevante di quello assegnato al valore quantitativo. Oggi, per i più, un numero è semplicemente un numero, quindi pura quantità. Ma è proprio così? Sembrerebbe proprio di no, poiché il numero conserva pur sempre un residuo di verità simbolica che, seppur nascosta fra le pieghe del grande libro dell’inconscio, è sempre in grado di far sentire la propria voce.
L’esoterismo, a sua volta, ha riservato a certi numeri e ad alcune figure piane delle caratterizzazioni dissimili. Come osserva M. Battistini, in riferimento alla tradizione cristiana. il triangolo equilatero rappresenta la perfezione incarnata dalla Santissima Trinità nel suo complesso. L'armonia evocata da questa figura rinvia all'equilibro tra l'azione, la redenzione e la santificazione, rispettivamente rinvianti alla figura del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

A sua volta, il cerchio chiama in causa l'idea dell'eterno ritorno degli eventi, ed ha, come anticipato, nel serpente che si mangia la coda la sua figura privilegiata di riferimento. Non avendo né un inizio né una fine, il cerchio si presta a rappresentare l'idea del movimento incessante della vita. Nelle scienze occulte è la figura che delimita il territorio e la dimensione temporale dell'incanto. Il quadrato, infine, ha a che fare con “la perfezione del paradiso e la stabilită del cosmo dopo l'intervento della divinită creatrice”.

Dunque, alcuni numeri e alcune figure piane sembrano esprimere delle qualità loro proprie, le quali, per garantire un adeguato accesso alla loro verità intima, suggeriscono un approccio simbolico accanto a quello quantitativo o geometrico. L’attenzione posta sulla variabile ‘qualită’ suggerisce la necessità di guardare con un certo relativismo a entità numeriche e a raffigurazioni spaziali diverse.

Un simile atteggiamento, come vedremo, dovrà essere preso in considerazione anche per quanto riguarda la percezione dei segmenti e delle figure piane che questi vanno a creare. Non solo, siamo in grado di andar oltre. Possiamo così sondare la risonanza intima che specifiche figure piane
possono sollecitare in noi, ovvero cercare di guardare alla ‘personalită’ che le stesse ci evocano.
Ciò premesso, passiamo ad evidenziare i nostri risultati relativi da un’indagine implicante uno spostamento d’accento valutativo dalla configurazione geometrica di una determinata figura piana alla sua valenza psicologica. Proviamo dunque a cogliere il senso intimo di una figura geometrica, partendo da un punto di vista non geometrico. In sua vece, abbiamo l’opportunită di affidarci ad una prospettiva psicologica che ci permetta di andar oltre la verità geometrica della figura considerata per farci riflettere attorno alla sua ‘personalită’.
Ogni qualvolta scegliamo un approccio fra due possibili non possiamo mettere fra parentesi del tutto l’altro, poiché, almeno a livello inconscio, quest’ultimo fară in ogni caso sentire la propria voce. In realtă il verbo scegliere non è dei piƶ felici, poiché il differente contesto d’uso ci spinge ‘meccanicamente’ a seguire una via piuttosto che l’altra. Così, nel corso delle proprie lezioni, un docente di matematica è spinto a guardare ad una figura piana dal buco della serratura della geometria, laddove un pittore potrebbe invece tener presente nel suo lavoro quasi esclusivamente la prospettiva opposta.

A questo punto possiamo entrare nel vivo della nostra ricerca, che ha avuto come oggetti privilegiati di indagine il cerchio ed il triangolo. Guardiamo la figura che segue. Questo, per fare il verso a Magritte, non è un cerchio ma una realtà psicologica da scoprire.
Proviamo a farlo ricorrendo ad uno strumento che ricorda da vicino il differenziale semantico di Osgood. Data la parola - stimolo “cerchio”, dobbiamo cercare di connotarla servendoci della tabella valutativa seguente. Si mette una crocetta nella casella scelta.
 

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