Migranti forzati e trauma: tra passato, presente e futuro
Autore: Rossella Totaro
Il tema della migrazione non è stato mai così attuale: nel corso degli ultimi anni la politica e i mass media hanno dato una rilevanza centrale a questo argomento.A tal proposito, sempre più spesso sentiamo parlare di viaggi al limite della sopportazione, di detenzione in campi profughi e prigioni, di guerre, carestie e crisi di governi.
Ben lungi dal voler affrontare il tema della migrazione da una prospettiva politica, c’è un aspetto rilevante dal punto di vista psicologico e psicoterapeutico che impone una riflessione: il trauma.
Per trauma psicologico si intende l’esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte, lesioni gravi o altre minacce all’integrità fisica. Altresì l’essere presenti a un evento che comporta morte, lesioni o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona o il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con cui si è in stretta relazione, sono tutte esperienze che rientrano nella definizione di trauma psicologico.
Esistono anche altri eventi che, pur non comportando un rischio per la vita dell’interessato o di persone a lui care, possono esitare in difficoltà nella gestione emotiva, relazionale e, talvolta, costruire le basi per la psicopatologia: abbandono, trascuratezza, separazioni forzate o inaspettate, violenza verbali, negligenza da parte del care giver.
Seppur non esaustiva, tale premessa risulta indispensabile per approcciarsi al complesso e multi-sfaccettato tema del trauma della migrazione.
I migranti forzati, in molti casi, subiscono innanzitutto un trauma pre-migratorio: nei Paesi di origine sono spesso sottoposti a condizioni di violenza estesa nel territorio, esercitata su gruppi, nuclei o singoli, che riducono la speranza di vita e di sopravvivenza; la violenza correlata con la guerra, disastri ambientali, carestie ed epidemie, violenze e minacce, persecuzioni, reclusioni forzate, abusi sessuali, tortura, deprivazione e costrizioni, morte o scomparsa di persone care, perdita di affetti, posizione economica e ruolo sociale, insicurezza, sospettosità e paura sono solo alcuni degli eventi a cui molti sono sottoposti e che risultano determinanti per la decisione di abbandonare la terra natia.
Qualunque sia la condizione vissuta nel Paese di origine, la maggioranza dei migranti forzati è accomunata dal trauma migratorio: la fuga e il viaggio comportano esposizione a pericoli e traumi continui. Spesso queste persone si trovano costrette a partire da terzi, in alcuni casi sotto minaccia, e si trovano nell’impossibilità di avvertire i propri cari; affrontano viaggi drammatici, malnutrizione, malattie non curate, aggressioni e, talvolta, assistono alla morte dei compagni di viaggio. Molto frequentemente, durante il viaggio, vengono arrestati o rapiti nei Paesi di transito, subiscono sfruttamenti e violenze, anche sessuali, o si trovano a dover affrontare lunghi periodi in campi profughi (es. Sud Sudan) in condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie.
Nel pensiero comune si ritiene che, una volta giunti in salvo nel Paese di destinazione, i migranti trovino condizioni di vita migliori, cosa che in effetti spesso accade. Ma è davvero così facile adattarsi alla nuova realtà?
Ogni persona che si trovi a vivere in un Paese lontano e differente rispetto a quello di origine affronta un grande cambiamento che, in alcuni casi, diventa un vero e proprio shock culturale. Il cambiamento delle abitudini e stili di vita può rappresentare un fattore di grande stress, se non addirittura trasformarsi in un trauma. L’allontanamento dalla rete familiare e sociale, la disoccupazione, lavoro precario o senza contratto, il vivere in alloggi di fortuna e l’essere discriminati e marginalizzati sono tutti fattori che costituiscono potenzialmente il trauma post-migratorio.
A rendere ancora più complesso l’adattamento alla nuova realtà intervengono le difficoltà di accesso ai servizi sanitari, che comportano talvolta il rischio di esclusione dal SSN, oltre a mettere a rischio l’intera comunità.
Altro tema rilevante nella prospettiva del trauma post-migratorio è la procedura burocratica della domanda di Asilo Politico: le lunghissime attese che intercorrono tra la domanda e l’esito, a volte della durata di anni, causano incertezza e angoscia. Nel periodo di attesa molti migranti frequentano corsi di scolarizzazione e professionali, alcuni trovano un lavoro ma rischiano, da un momento all’altro, di ricevere un esito negativo alla loro domanda di Asilo Politico e di essere inviatati a lasciare il Paese ospitante.
La psicoterapia offre un valido aiuto nell’integrazione e nel superamento dei traumi, oltre ad implementare le risorse personali ed interpersonali e favorire l’adattamento al nuovo contesto di vita, spesso frustrante e causa di un forte malessere psicologico. La possibilità di usufruire di uno spazio privato, protetto e non giudicante in cui poter esprimere ansie, preoccupazioni e manifestare il proprio dolore è uno strumento fondamentale per costruire una solida base di partenza per una nuova vita.