Donne e lavoro: siamo agli antipodi?
Autore: Francesca Miccoli
Al giorno d’oggi, purtroppo, sono numerosissime le barriere che impediscono alle donne di raggiungere una posizione soddisfacente e stabile nel mondo del lavoro, cosa che si è ancora più aggravata a causa dell’emergenza COVID: ma perché?Le risposte sono diverse: andiamo dalle barriere personali, a quelle organizzative fino ad arrivare alle barriere sociali.
Per quanto concerne le barriere sociali esse sono alimentate da un’assenza di politiche fiscali che aiutino le famiglie con figli; assenza di politiche di conciliazione tra responsabilità familiari e lavoro; La carenza di welfare sociale in grado di farsi carico lavori di cura della famiglia ed il basso rapporto spesa sociale / Pil.
Riguardo le barriere organizzative (si intende qualsiasi numero di cose che vanno dagli oggetti fisici agli atteggiamenti individuali e di gruppo) il tratto della femminilità viene generalmente connotato da valori negativi; contesto “no trust”, ovvero regole raggirate da gruppi, dove, in ambito lavorativo, vengono prese decisioni in modo volutamente poco chiaro e, spesso, fuori dall’orario di lavoro.
Per riuscire a superare questa barriera è fondamentale riuscire ad instaurare relazioni informali, che possono, di conseguenza, aiutare la progressione di carriera; la mancanza di trasparenza e l’ambiguità dà luogo ad un clima di “caccia alle streghe”, con una conseguente esclusione da parte dei più, sia riguardo la possibilità di condividere con tutto il gruppo di lavoro le proprie idee e partecipare attivamente al processo decisionale, sia per le attività più semplici che possano creare un senso di coesione e coinvolgimento.
In ultimo le barriere personali, le più insidiose, figlie di una mentalità patriarcale che ancora, purtroppo, resiste nelle credenze di tante donne, fino al punto di trasformarsi in atteggiamenti messi in atto in modo del tutto naturale.
Qui troviamo il perfezionismo e la mancata accettazione dei propri limiti. Questa condizione emerge con la cosiddetta “sindrome di Mary Poppins”, ovvero il voler essere sempre perfette a tutti i costi, non accettare né una sconfitta né i propri limiti; la scarsa tolleranza delle situazioni conflittuali e la minore propensione a strutturare il proprio impegno in termini di potere; la mancanza di fiducia nelle proprie competenze, potenzialità e la carenza di autostima generalizzata, che si concretizza in un costante auto-sabotaggio.
Sono numerose le metafore utilizzate per esprimere la condizione sfavorevole che ogni donna vive nel mondo del lavoro, la più conosciuta e che rimanda ad un’immagine chiara e piuttosto rappresentativa è l’avere sopra la testa un soffitto di cristallo che non permette l’avanzamento di carriera, che schiaccia e confina la donna lavoratrice nella posizione in cui si trova, senza nessuna avanzata.
Oltre a tutte queste barriere e difficoltà che ogni donna deve affrontare ogni giorno per riuscire ad affermarsi e crearsi, con le sue sole forze, una stabile posizione lavorativa se ne aggiunge un’altra, probabilmente la più destabilizzante: mettere una donna davanti ad una scelta: essere madre o essere una donna in carriera.
Ad oggi ben il 50% delle donne dirigenti non ha figli, contro il 15% dei colleghi uomini. Numerose aziende sono solite chiedere, ai fini dell’assunzione, se si ha l’intenzione di crearsi una famiglia, altri perfino propongono la crioconservazione (pratica medica che consiste nella prelevazione e nel successivo congelamento degli ovuli) per poter mettere un fermo allo scorrere della sabbia nella clessidra che segna la fine della fertilità di una donna, di crearsi una famiglia, di diventare madre.
Tutto questo per favorire la concentrazione e la totale dedizione al lavoro.
Oggi la propensione ad essere madre è divenuto un criterio di selezione/esclusione nel mondo del lavoro, ma una donna che genera e cresce ed educa un figlio, nel modo più sano possibile, ha in se le competenze e le caratteristiche del leader! Basta pensare all’elasticità mentale che una donna deve avere quando diventa mamma, alle capacità di negoziazione e di problem solving, saper delegare etc.… Inoltre la maternità incide, a livello di costi, in un’azienda solo dello 0,029%...
Tutto questo è sicuramente favorito dagli stereotipi di genere che dilagano nel nostro paese. A livello di stereotipi socio-familiari siamo nelle retrovie: il 71% degli italiani (50% europei) ritiene che, in generale, gli uomini siano meno competenti delle donne nello svolgimento dei compiti domestici; il 43% (29% europei) crede che un padre debba anteporre la carriera al doversi occupare dei figli piccoli e il 38% (29% europei) pensa che le donne siano meno disposte degli uomini a fare carriera. Il numero di donne che lavora resta nettamente inferiore a quello degli uomini, e l’era dell’automazione aggrava il trend, perché impatta soprattutto i lavori tradizionalmente svolti dalle donne. Allo stesso tempo le donne sono poco rappresentate nelle professioni che richiedono una preparazione tecnico-scientifica (le cosiddette materie STEM), cosa che, naturalmente, peggiora la visione globale del fenomeno. Le donne non sono incoraggiate, né tantomeno sostenute nella loro avanzata all’interno del mondo del lavoro (basta pensare che una donna, in media, guadagna il 16% in meno all’ora rispetto ad un uomo con la stessa mansione) nonostante possiedano numerose competenze e potenzialità utilissime per le organizzazioni, a volte avendo uno sguardo nuovo, diverso, operando così, in potenza, un vantaggioso arricchimento dell’organizzazione.
Fortunatamente ad oggi sembra che si cominci a pensare che possa esistere una leadership femminile diversa da quella maschile; le donne leader sono più convincenti degli uomini, imparano dalle avversità, sono più resilienti, più disposte a condividere informazioni, hanno una leadership più inclusiva, che sa coinvolgere tutti senza farsi frenare da stereotipi, sono più portate ad ignorare le regole e correre rischi tentando nuove strategie, hanno una notevole capacità di ascolto, ed in ultimo cercano sempre di fare un passo indietro per tentare di vedere una situazione da più punti di vista, nella sua globalità. Queste, se ci fermiamo a riflettere per un momento, sono alcune delle skills più richieste ad oggi nel mondo del lavoro.
Perché dovrebbe fare la differenza se a possederle è una donna?