Essere Madre di noi stessi

Autore: Maurizio Bottino

Essere Madre di noi stessi Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre?
Senza madre non si può amare.
Senza madre non si può morire.
(Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro)
 
Le numerose immagini e idee che si associano alla Madre affondano le radici nei primordi della storia dell’uomo.
Già il Paleolitico vede la presenza di manufatti con figure steatopigìe che, pur plasmate con materiali diversi e con fattezze proprie date dalla latitudine di ogni cultura, sono colme di simbolismi condivisi che si rifanno ai temi della prosperità, del nutrimento, della fertilità, della creatività e della sessualità come elemento generativo.
Furono definite “Veneri” dagli archeologi che datano questo tipo di manufatti, per esempio la Venere di Tan Tan, addirittura ad un periodo compreso tra 500.000 e 300.000 anni fa.

Ma senza andare così lontano, volendoci fermare solo a 35.000 anni orsono la Venere di Willendorf (in figura), con il suo colore rosso ocra, simbolo del sangue mestruale della donna segno di una ciclica capacità di accogliere e dare la vita, rimanda al ritmo delle stagioni che offrono al tempo proprio i frutti della terra.
L’addome e le mammelle grandi, la vulva volutamente posta in una posizione avanzata, l’assenza dei tratti del volto, braccia esili, quasi a nobilitare, per assenza, le altre parti del corpo preposte alla generazione della vita, fanno assurgere le Veneri ad immagini archetipiche di profondo impatto contenutistico ed emozionale.

Siamo davanti al “santuario” della Vita da cui proveniamo.
E se le donne hanno il dono di poter essere questo santuario, gli uomini hanno quello di potervi depositare un seme. Azione che dovrebbe essere vissuta in modo ben diverso da uno sciocco trionfalismo maschilista, ma accompagnata dall’umiltà che nasce dalla consapevolezza dell’inutilità di questo gesto se non ci fosse uno spazio caldo, accogliente e nutriente pronto ad accogliere il seme.

Ecco così che la donna assume una dimensione materna ancor prima di essere madre in quanto tale definizione non si rifà all’aver generato dei figli, ma a caratteristiche quali l’accoglienza, l’accudimento, la cura, la tenerezza, il riconoscimento, l’accettazione…
Non a caso Anjezë Gonxhe Bojaxhiu, per la Chiesa cattolica Santa Teresa di Calcutta per il culto tributatole, é semplicemente Madre Teresa!
Non si può parlare della madre se si prescinde dal contenuto di sacralità insito nella dimensione generativa in senso ampio in quanto contempla anche la cura ed il mantenimento della vita nata.

Tutti sanno che, attraverso varie fasi del processo identificativo con la madre, prima figura di riferimento, il bambino costruisce una struttura ed ha una percezione di sé con la quale inizia la sua relazione con l’esterno.
Succede, purtroppo spesso, che la costruzione di questa immagine di sé segue percorsi non lineari che non rispettano le personali inclinazioni del bambino, ma si orientano verso la costituzione di una figura che “vada bene”, che sia congrua rispetto ai desideri parentali, che risponda ad un progetto famigliare a volte retaggio di intere generazioni passate. Tipica la richiesta, meglio pretesa, che il figlio continui la tradizione di famiglia in ambito professionale senza considerare le attitudine specifiche.

Da questo vissuto prende forma, all’interno delle persone, un “falso Sé”.
Qualcosa che non siamo noi, ma ciò che gli altri vogliono per noi… qualcosa da cui desideriamo separarci, ma il cui prezzo ci appare spaventosamente alto.
Il bambino si trova davanti ad un bivio: essere ciò che desidera essere o ciò che la madre gli chiede di essere?
Perché il messaggio, il più delle volte silenzioso ed inconscio, “Se non sei come io voglio, non potrò volerti bene, non potrò amarti” ha un potere colpevolizzante feroce. Se poi si ha la disgrazia di avere un fratello che risponde alle aspettative materne, i confronti sono di rito e il tentativo di trovare una dimensione diversa attraverso un atteggiamento prostituente crea in noi una dimensione di disistima e di alienazione dai nostri desideri più profondi.
Davanti a questa ipotesi la scelta é obbligata: l’amore della madre é troppo importante: non ci si può rinunciare, per cui sarò ciò che tu, madre, vuoi che io sia!
Necessita una precisazione. Utilizzando un concetto freudiano, possiamo asserire che la madre assume una funzione simbolica andando ben oltre alla sola dimensione biologica.

Non esiste una sola madre, ma molte: tutte quelle persone che presentano le caratteristiche di accoglienza sopra evidenziate. Avremo così:
  • la madre biologica che ci ha partorito e, il più delle volte, cresciuto;
  • la madre ideale che sognamo quando verifichiamo le inadempienze, reali o pressunte, della madre biologica ed operiamo dei confronti meritocratici;
  • le madri alternative quali zie, maestre, baby sitter, educatrici. E non é necessario che queste madri siano di sesso femminile, basta che abbiano le caratteristiche specifiche della madre.
Ma il bisogno di madre si può esplicitare anche in contesti sociali quali strutture, gruppi, partiti, squadre che vanno così a costituire una sorta di “spazio di accoglienza” che induce una relazione madre<->figlio. Fra questi:
  • il gruppo dei pari e le squadre sportive, soprattutto in età adolescenziale;
  • i commilitoni in ambito militare;
  • i gruppi religiosi;
  • l’appartenenza ad una struttura o ad un ente (noi della Nissan, noi della Polizia, noi frati, etc ) dove il “noi” rappresenta il gruppo, l’utero contenitivo, la carezza consolante, il sorriso accogliente.
A volte anche alcune esperienze della nostra vita ci portano ad una dimensione di relazione materna in quanto ci fanno sperimentare quelle emozioni e sensazioni tipiche di questo rapporto. Un mio paziente, skipper ed esperto navigatore solitario, raccontava che “…le onde mi cullavano come una madre e tutto intorno a me, dallo sciabordio dell’acqua, le stelle, il rumore del vento sulla randa mi davano un senso di protezione e pace, credo, mai provata.” L’esperienza profonda di percepire una dimensione in cui ci si sente saziati dall’amore che si riceve, ci riporta alla bellezza del Salmo 131: “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia.” Purtroppo il rapporto con la madre, spesso, segue strade tortuose e non sempre prive di buche più o meno profonde. Nasce così la necessità di ricostruire ed integrare ciò che nel rapporto arcaico con la madre reale é stato distrutto o é stato manchevole. Necessità che diventa compito primario per coloro che desiderano essere meravigliosamente integri come lo può essere un Kintsugi, il vaso giapponese che viene ricostruito, dopo la rottura, e i cui pezzi vengono saldati tra di loro con oro fuso. A cosa serve questa ricostruzione? Serve a fare di noi stessi una Madre!
Sembra paradossale, ma è così. Tutto il lavoro di analisi, ricostruzione, rivisitazione, separazione, integrazione… e chi più ne ha, più ne metta, ha lo scopo di renderci luogo di quelle caratteristiche proprie della madre e di imparare a metterle al servizio dell’altro.
Stiamo banalmente parlando di amore: quella cosa che ha il potere di renderci felici quando rendiamo felice l’altro.

Ma non é un percorso in discesa… Dobbiamo imparare a chiamare con il vero nome ciò che é accaduto, senza incolpare nessuno, senza condanna, ma anche senza sottostimare ciò che non é andato come sarebbe dovuto andare.
La caratteristica di questo percorso é il dolore in quanto il cambiamento necesita di far emergere l’Orfano dentro di noi con i suoi bisogni mai colmati e, il più delle volte, negati a noi stessi.
E non sono solo bisogni arcaici, della nostra infanzia; ci sono anche quelli che, da questi, si sono generati in vari momenti della nostra vita e che hanno generato emozioni in una miscellanea a volte troppo pesante da affrontare:
  • il pianto per carezze mai avute,
  • i “grazie” non detti,
  • i debiti non riconosciuti,
  • gli sguardi di disapprovazione,
  • la paura che nessuno ti veda esistere,
  • le illusioni perdute e i progetti impossibili,
  • le paure inconfessate,
  • la speranza di incontri futuri,
  • i “ti amo” non detti per pudore,
  • i progetti non condivisi per invidia e per gelosia,
  • i “ti voglio bene” non detti per la morte dell’altro,
  • la stanchezza che nessuno scuserebbe,
  • i timori antichi,
  • la solitudine nei baci senza sapore,
  • l’angoscia di separazioni temporanee e definitive,
  • i “ti odio” non detti per paura,
  • la tristezza per le carezze impossibili a darsi,
  • le emozioni degli amori reali e fantastici,
  • la rabbia per gli amori non avuti,
  • il rimpianto per l’amore rifiutato,
  • gli abbandoni vicini nel cuore e lontani nel tempo,
  • la paura della morte fisica.
Come trasformare l’Orfano dentro di noi in una Madre?
È evidente la necessità di partire dalla conoscenza dei bisogni antichi e dall’analisi della modalità con cui agiamo una coazione a ripetere che ci riporta sempre al punto di partenza. Tipico nei rapporti amorosi dove il bisogno antico di accettazione induce comportamenti consenzienti e/o deresponsabilizzati nel partner che, quando va bene, si stanca di questa ripetività e si sgancia dal rapporto. Quando va male, la situazione di profondo disagio tra i due permane per molti anni, a volte per tutta la vita.

Un altro passaggio fondamentale è la rinuncia alla pretesa che l’altro, chiunque esso sia, possa essere la risposta globale al proprio bisogno rifiutando di accettare, in se stessi e nell’altro, un’incapacità sostanziale propria degli esseri umani e non frutto di una volontà contrappositiva.
Ancora, la consapevolezza del presente: chi sei oggi, cosa fai, cosa hai fatto, il percorso già svolto, le tue capacità e le tue criticità, le risorse intorno a te (amici, situazione di vita, cultura, prospettive, etc) può permettere l’individuazione della destinazione della nostra vita.
Destinazione che non si identifica con cosa vuoi avere o cosa vuoi fare da grande, ma cosa vuoi essere. Ma, soprattutto, quanto sei disposto a perdere per essere?
Una dimensione aliena a molti che si identificano con gli oggetti esterni a loro stessi, spesso anche persone, e non con la propria anima.

Condivido Aldo Carotenuto quando afferma “Noi siamo in gran parte il risultato di quello che abbiamo perduto.” pensiero con cui traccia una possibile chiave di lettura di sé e della vita totalmente opposto allo stereotipato buon senso che negativizza le perdite.
Analogamente Judith Viorst: “Dobbiamo confrontarci con le nostre perdite necessarie. Dovremmo capire come queste perdite sono legate alle nostre acquisizioni.”
E viene da pensare che se una donna incinta, una madre, è disposta a perdere in tempo, spazio proprio, a volte in salute ed altro,… quanto siamo disposti a perdere noi per diventare madri di noi stessi?

In conclusione, voglio condividere il pensiero che la dimensione fondamentale della Madre sia la “misericordia» (in greco éléos). Ma éléos é sia la traduzione abituale, nella versione greca dell’A.T., della parola ebraica héséd (amore), sia di un altro termine: rahamîm (viscere, utero, plurale di réhém, il seno materno in senso lato).
Ecco allora che vengono interconnessi l’utero, la misericordia e l’amore così come aveva ben capito Basilio il Grande quando asseriva che “Con la misericordia verso il prossimo tu assomigli a Dio”.
E se la misericordia è l’umanità di Dio, essa è anche l’avvenire divino dell’uomo.
 
A te, che mi hai seguito fin qui, l’augurio di essere costantemente incinto/a della tua Madre interiore.
M.B.
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Alcuni riferimenti bibliografici
  • Giovanni Bollea, Le madri non sbagliano mai - Feltrinelli
  • Aldo Carotenuto, L' anima delle donne. Per una lettura psicologica al femminile - Bompiani
  • Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro - Casa Editrice Astrolabio
  • Erich Neumann, La grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio - Casa Editrice Astrolabio
  • Carol S. Pearson, Risvegliare l’eroe dentro di noi - Astrolabio
  • Judith Viorst, Distacchi - Sperling & Kupfer
  • Malvine Zalcberg, Cosa pretende una figlia dalla propria madre? La relazione tra madre e figlia da Freud a Lacan – Mimesis
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Articolo scaturito dai contenuti presentati nel seminario La Madre - La radice della vita negli archetipi, nelle fiabe e nella realtà svoltosi online il 14/05/2022 e condotto dalla dr.ssa Elena Manetti e dall'autore pubblicato su Stilus - Percorsi di Comunicazione scritta (Anno XVII - N. 43 - Settembre 2022).
 

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