Il coraggio di esser-ci
Autore: Valerio Giannitelli
Esistiamo, ragioniamo, comunichiamo ogni giorno. Camminiamo, guidiamo, imprechiamo per il traffico e l’incidente all’angolo della strada.Ci chiediamo come l’altro stia, forse più per una convenienza sociale che altro, fino a ritrovarci a passare ore e ore del nostro tempo a osservare immagini multimediali su uno smartphone, alla televisione.
Ci preoccupiamo per ciò che accade nel mondo (è reale preoccupazione o una necessità di esplicitare ipocritamente la colpa che quotidianamente proviamo per il nostro disinteresse antropo-esistenziale?) ma poi dimentichiamo cosa è drammaticamente accaduto.
In metropolitana, nel luogo di lavoro, a scuola; siamo in tanti ogni volta, eppure la percezione è quella di tanti corpi isolati, ciascuno rinchiuso nella sua bolla d’aria.
Diffidenza verso sé, diffidenza verso l’altro.
Frederick Perls parla di contatto (per un approfondimento, si rimanda alla lettura della pubblicazione: "La terapia gestaltica parola per parola"), Kurt Lewin di campo. Non possiamo esimerci dal riconoscere l’esistenza di altro, dell’altro.
Proprio per questa ragione diviene significativo re-imparare, come quando eravamo bambini, a stare con il nostro corpo; un corpo che non funge solo il ruolo di “struttura”, ma di essenza. Un corpo che diventa mezzo e allo stesso tempo presenza.
Se vogliamo realmente esser-ci, con noi stessi, nel mondo e nelle relazioni che viviamo quotidianamente, dobbiamo tornare ad avere fame.
Re-impariamo a stare con il bisogno di mangiare. Morsichiamo il mondo, prendiamone una parte e teniamocela stretta; re-impariamo a “giocare” con la realtà che ci circonda, proprio come un bambino costruisce un castello di sabbia, preoccupandosi che le onde del mare non rovinino la sua opera d’arte.
Il coraggio di esser-ci è esattamente tutto questo. Il coraggio di esser-ci equivale a esistere come essere “che sente”; come essere che vuole, autenticamente, sentire, sia essa gioia o sofferenza, ogni istante della propria vita.