Il disturbo dello spettro dell'autismo: definizione e caratteristiche

Autore: Valerio Giannitelli (Redazione PsyEventi)

Il disturbo dello spettro dell'autismo: definizione e caratteristiche Il disturbo dello spettro dell’autismo è stato descritto per la prima volta nel 1943 da Leo Kanner, che lo definì autismo infantile precoce studiando un gruppo circoscritto di soggetti in età evolutiva. Lo stesso autore osservò come le famiglie di questi bambini fossero contraddistinte dalla tendenza a non sviluppare al loro interno legami affettivi.
Successivamente, lo psicoanalista Bettelheim (1960) spostò la propria attenzione sul disturbo relazionale con la ‘madre frigorifero’ e sul ritiro autistico (difesa autistica) conseguente da parte del bambino. La psicoanalista Margaret Mahler (1967), invece, considerò una fase autistica normale come normale tappa del processo di individuazione – separazione del bambino dalla madre.

Attualmente, il disturbo dello spettro dell’autismo secondo il DSM-5 indica un disturbo del neurosviluppo che incide in modo marcato sulle capacità interattive, comunicative e comportamentali del bambino e che presenta un’incidenza di circa 1 bambino su 110 (Fombonne, 2009).

Secondo il DSM-5, infatti, le caratteristiche principali di questo disturbo implicano la compromissione persistente della comunicazione sociale reciproca e dell’interazione sociale e la presenza di pattern ripetitivi e ristretti di comportamento, interessi ed attività che si manifestano già dalla prima e infanzia e che limitano o compromettono il funzionamento quotidiano del soggetto (Lingiardi & Gazzillo, 2014, 355).

Le manifestazioni del disturbo variano molto in base al livello di gravità della condizione autistica, al livello di sviluppo e all’età cronologica del soggetto e possono essere mascherate in alcuni contesti attraverso modalità di compensazione e supporto specifiche (ibidem).

Il disturbo dello spettro dell’autismo presenta una significativa eterogeneità nelle manifestazioni comportamentali, nella gravità dei sintomi e nelle risposte dei soggetti autistici ai vari trattamenti; tutto ciò ha inevitabilmente posto in essere delle rigide contrapposizioni riguardo le ipotesi eziopatogenetiche del disturbo (ivi, p. 356).

A tal riguardo, alcune ricerche hanno progressivamente osservato come l’autismo possa essere considerato un disturbo complesso di tipo multifattoriale, in quanto implicante persistenti deficit neuropsicologici di base che interessano alcune specifiche aree cerebrali per densità ridotta, alterata dimensione cellulare o ridotta attività (ibidem).

Alcune caratteristiche del disturbo dell’autismo sono state altresì osservate ed interpretate secondo molteplici modelli neuropsicologici, i quali riconoscono come in quest’ultimo il soggetto presenti specifici deficit della teoria della mente, secondo cui svilupperebbe in ritardo la capacità di attribuire stati mentali, desideri e credenze degli altri a sé stesso (Baron – Cohen et al., 2013), un deficit nelle funzioni esecutive, ossia nella capacità di pianificare e controllare il proprio comportamento (Pennington & Ozonoff, 1996), una incapacità, a causa di un funzionamento atipico del sistema dei neuroni specchio, di imitare e simulare una specifica situazione che ha osservato (Gallese, 2006) ed una tendenza ad elaborare gli stimoli esterni in modo frammentario, focalizzando i dettagli piuttosto che integrarli in un insieme significativo (Happè & Frith, 1996).

Nonostante l’esistenza di molteplici spiegazioni delle caratteristiche del disturbo dello spettro dell’autismo, ancora oggi esistono delle questioni irrisolte in merito alle effettive variabili eziopatogenetiche sottostanti il disturbo stesso.
 

BIBLIOGRAFIA:
 
Baron – Cohen, S., Tager - Flusberg, H., & Lombardo, M. V. (2013). Understanding other minds. Perspectives from Developmental Social Neuroscience. Oxford University Press.
 
Lingiardi, V., & Gazzillo, F. (2014). La personalità e i suoi disturbi. Valutazione clinica e diagnosi al servizio del trattamento. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Santrock, J. (2017). Psicologia dello sviluppo. Milano: McGraw-Hill.
 
   

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